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Giovanni Sartori e il suo «metodo»

Corriere di Bologna di Alessandro Mossini

Il responsabile dell'area tecnica rossoblù al lavoro: scelte graduali e risparmio grazie a un modello di scouting studiato e che prevede lo studio dei giocatori in presenza.

Viaggi continui, centinaia di partite viste dal vivo, informazioni incrociate, tanto lavoro, capacità di individuare il talento e soprattutto i margini di miglioramento: chiamatelo, se volete, il «metodo Giovanni Sartori». È ciò a cui si affiderà il Bologna per scacciare l’anonimato – o peggio, a volte – degli ultimi sette anni, affidandosi a un responsabile dell’area tecnica capace di portare prima il Chievo e poi l’Atalanta ai punti più alti delle rispettive storie.​

Il metodo Sartori per il Bologna dagli stipendi ai talenti

Quasi trent’anni con i «mussi volanti» veronesi, diventandone il ds nel 1992 (dopo un passato da attaccante, poi vice-allenatore e successivamente osservatore alle dipendenze di Luigi Campedelli, padre di Luca): porta la squadra dalla C1 alla serie A – con sette giornate passate perfino da capolista – e ai preliminari di Champions, con un sapiente mix di ragazzi inespressi e calciatori considerati al capolinea da rigenerare. Nel 2014 passa all’Atalanta – per un anno a braccetto col dg Pierpaolo Marino, poi unico responsabile dell’area tecnica – e a Bergamo con i Percassi costruisce un capolavoro sportivo e gestionale: tre qualificazioni in Champions, due in Europa League, due finali di Coppa Italia e gli ultimi sei bilanci tutti chiusi con il segno più, registrando utili complessivi per 164,2 milioni di euro mentre – grossomodo nello stesso arco temporale – il Bologna registrava un rosso complessivo da 112,9 milioni. Risultati opposti in campo e fuori, figli per gran parte del player-trading oltre che di una politica più calmierata nel monte ingaggi (da queste parti Santander prendeva quanto Malinovskyi o De Roon, Mbaye quasi come Gosens). Il tema degli stipendi da moderare sarà una delle sfide bolognesi di Sartori, che poi si affiderà al suo occhio e al lavoro degli osservatori del suo team per trovare i profili giusti: in genere, dopo la prima scrematura, a visionare lo stesso giocatore ci vanno tre osservatori diversi, in casa e in trasferta.​

Sartori: << Non guardo mai i video, devo vedere in presenza>>

Poi, l’ultima e decisiva occhiata live spetta al dirigente sessantacinquenne lodigiano: «A me non piace il video – raccontò poco tempo fa Sartori alla Gazzetta dello Sport – perché so bene che molte cose lì non si vedono. Walter Sabatini è un mago di cassette e dvd, io sono l’esatto contrario: ad esempio, se segui dal vivo un difensore lo guardi sempre, anche in fase di non possesso, e in tv tutto questo non è visibile. Prima del Covid, non avevo mai visto un singolo video».​

Quegli acquisti a poco rivenduti milioni di euro

Un approccio classico – aereo, tre giorni in una nazione, cinque-sei gare dal vivo e si rientra – cambiato a forza dalla pandemia: il pc, per Sartori e per i suoi uomini, è diventato un alleato. E così gli algoritmi, specie per i campionati più lontani, ma ora che si sta tornando alla normalità l’occhio torna a farla da padrone almeno sul giudizio finale. In fondo quell’Atalanta è nata così e, come Roma, non è stata costruita in un giorno: un pezzo alla volta, partendo da Gomez (4 milioni, dal Metalist Kharkiv) al suo primo mercato, proseguendo con vari perni acquistati sotto i due milioni – De Roon, Gosens, Hateboer, Freuler, Djimsiti, Pessina – e con baby-acquisti come Kessie, Mancini, Diallo e Kulusevski comprati a pochi spicci e rivenduti a oltre cento milioni totali. La ricetta di un modello di crescita che il Bologna spera di veder replicato da queste parti.